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L’evoluzione in psicanalisi

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Vittorio Volpi ha sempre affrontato il suo lavoro di psicanalista privilegiando la ricerca scientifica. 

Ciò significa che nel campo della psiche, dello studio della mente e delle emozioni umane non possiamo mai dare niente per scontato e dobbiamo sempre effettuare rigorose verifiche su tutto ciò che ipotizziamo. 

Le osservazioni nella ricerca scientifica devono sempre tenere conto dello studioso come parte fondamentale dell’oggetto della ricerca. 

Se osserviamo due cellule al microscopio la nostra osservazione è comunque condizionata dalla qualità dello strumento che utilizziamo, dalle sue capacità di ingrandimento, dalla precisione e dalla definizione dell’immagine; ma anche, inevitabilmente, dalla nostra capacità visiva che, se limitata, andrà opportunamente corretta, grazie agli occhiali che indossiamo dopo opportune visite che determinano il grado del nostro deficit e ci permettono di correggerlo. 

Perciò l’osservazione scientifica dell’altro in campo psicologico è sempre una osservazione di noi stessi che risuoniamo emotivamente nel contatto con il prossimo, grazie alla nostra empatia.

L’operatore psicologico è molto semplicemente una persona abituata ad osservare i propri stati d’animo e a riconoscere e distinguere ciò che è proprio da ciò che proviene dalla persona con cui si entra in contatto.

Questa capacità si ottiene e si affina sempre maggiormente grazie all’esperienza.

Occorre osservare che questi fenomeni sono parte della nostra vita quotidiana. 

Un piccolo e banale esempio: se andiamo a comprare il pane e possiamo scegliere tra diversi panifici che vendono lo stesso prodotto, siamo portati a preferire quello che ci è più simpatico, ovvero quello dove entriamo in contatto con qualcuno che ha maggiori affinità con il nostro modo di essere, di sentire, grazie ad una percezione più istintiva che razionale. In sostanza preferiamo incontrare quello che è più simile a noi.

La scoperta del dott. Volpi assomiglia un poco alla scoperta dell’acqua calda.

Infatti egli ha osservato che la persona più simile ad ognuno di noi è il proprio genitore omologo, cioè dello stesso sesso.

Questa osservazione è di per sé estremamente banale, tuttavia manda al macero decenni di studi psicologici tragicamente assuefatti ad attribuire ai genitori la causa del malessere dei propri figli.

E, ancora più brutalmente, i genitori sono considerati colpevoli, qualora i figli stiano male ed il rimedio consiste nell’allontanamento.

Ho necessariamente semplificato decine e decine di teorie psicologiche, ma quasi sempre il nocciolo della questione è assai simile.

La conseguenza di questa osservazione riguardante la similitudine tra padre e figlio e tra madre e figlia fu la scoperta dell’abbraccio tra figlia/o e genitore come potentissimo strumento portatore di benessere e di stabilità emotiva.

 Grazie a questo abbraccio si riesce a entrare in contatto con il proprio essere profondo e a ritrovare la propria identità. 

Ho cercato di spiegare con poche e semplici parole un fenomeno che è stato ampiamente osservato sia da Vittorio Volpi, sia da tutte le persone che hanno seguito le svariate scuole di psicanalisi che si sono sviluppate anche dopo la sua morte prematura nel 1998.

Questi studi permettono una ricetta molto semplice: abbracciamo il nostro genitore omologo ed il nostro benessere è garantito. 

In realtà la strada per poter godere pienamente di questo abbraccio è spesso difficile e complessa, poiché richiede di fare una grande e profonda pulizia di tutti gli ostacoli e le interferenze sociali che nel corso degli anni hanno spesso sabotato il rapporto d’amore che lega genitori e figli.

La qualità di un abbraccio è in relazione alla forza della relazione affettiva.

Un semplice abbraccio spesso meccanico e impacciato, non è di per sé risolutivo. Magari fosse così semplice. Ma è  comunque una via insostituibile per ritrovare la propria identità, molto spesso gravemente inquinata dalle vicissitudini della vita.

Per molte persone soltanto l’idea di abbracciare il proprio genitore omologo è causa di rifiuto, di repulsione, di malessere e sembra essere totalmente impensabile, pur essendo un istinto primordiale e assolutamente naturale.

Questa strada, semplice ma anche intensa e piena di difficoltà, è quella che la/lo psicanalista può percorrere insieme ai suoi clienti. 

Ma anche una guida efficace per tutti coloro che si occupano di educazione, pedagogia, assistenza. 

di Giorgio Mancuso

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