Interviste a Cesare Musatti (1982-1986)

Propongo delle interviste a Cesare Musatti, ritenuto spesso il “padre” della psicanalisi in Italia. Le due interviste, la prima a cura di Vittorio Volpi sul “Potere dello psicanalista” con un suo commento particolarmente interessante poiché permette una lettura dell’intervista a Musatti.

La seconda, a distanza di quattro anni a cura di Maurizio Molteni ed Eva Lucchesi Tagliabue, sul ruolo dello psicologo in un’epoca in cui nasceva l’Albo degli Psicologi, con tutte le polemiche e le discussioni ad esso collegate.

Ecco il materiale pubblicato sulla rivista Analisi Psicologica.

L’AUTORITÀ DELL’EDUCATORE – ANALISTA di Vittorio Volpi

Ho effettuato questa intervista nel marzo del 1982, e ho aspettato, per pubblicarla, di avere il contesto più adatto, come quello attuale di risvegliato interesse per la professione di psicanalista. Finalmente, grazie alla ricerca scientifica condotta in oltre un decennio presso il nostro Centro, questa professione si delinea con la ne­cessaria chiarezza, per quello che è, vale a dire come la­voro educativo. L’intervista al più antico – non mi sento di chiamarlo “vecchio” perché vecchio non è ancora. anzi – degli psicoanalisti viventi, con il suo frasario storico, con l’impronta incancellabile di una lunga lunghissima pratica psicanalitica, conferma tutto ciò, corrispondente in modo sorprendente con i risultati cui siamo pervenuti.

Riletto qualche giorno fa dallo stesso intervistato, insieme con i colleghi Eva Lucchesi Tagliabue e Mauri­zio Molteni, il testo non ha subito particolari modifiche, perchè quello che in esso si afferma è solo un pochino travestito (non travisato: sarebbe impossibile) dal lin­guaggio teorico, e ciò che affiora, che parla, è l’esperien­za, quella solida base professionale che solo la pratica, esercitata con intelligenza, può dare. Merita perciò qualche riga di commento esplicativo.

1. Gross e Benussi. Come è noto, non solo il primo, ma anche il secondo é morto suicida (cianuro. Nel caf­fè). Che maestri, dunque, per uno psicanalista. Come ha potuto diventare allora così bravo? Non c’è altra pos­sibilità: nonostante Gross e Benussi fossero depressi gravi, hanno potuto essere ottimi maestri di psicanalisi. La loro personalità sofferente, la loro esperienza diretta di problemi psicologici è stata il loro vero patrimonio di­dattico. E ciò risponde a quanti si stupiscono che alla professione psicanalitica si accostino proprio le persone più ricche (è il caso di dirlo) di problemi. Ma c’è anche un altro risvolto, tipico di ogni esperienza pionieristica, e riguarda i rischi del mestiere, tanto più grandi quanto più ignorati. Un utente depresso induce la propria de­pressione nell’analista. Non a caso Musatti dichiara di rifiutare clienti psicotici: ha avuto senz’altro degli ottimi maestri. Infatti, nella nostra professione il coinvolgi­mento emotivo con il cliente è tale che, senza una profes­sionalità, una preparazione specifica per quell’ordine di stati emotivi che l’utente esprime„ l’analista perde il pro­prio equilibrio. Ciò che constatiamo regolarmente nella nostra Scuola di Psicanalisi, dove gli allievi, all’inizio, necessitano, più che di supervisione, di una vera e pro­pria assistenza psicanalitica, anche se circoscritta ogni volta a quel determinato caso che hanno in carico.

2. La psicanalisi non è una terapia (e meno ancora unapsicoterapia”) ma un processo educativo. Prevede in­fatti il coinvolgimento, tipico dell’educatore con l’utente, ma può permettere che questo coinvolgimento arrivi mol­to in profondità, ovviamente con le dovute precauzioni, onde evitare le spiacevoli conseguenze di cui al punto 1. Naturale pertanto che la psicanalisi sia uno strumento prezioso per chiunque (genitore, insegnante), abbia a che fare con soggetti in età evolutiva.

3.Il transfert. Significa “trasferimento” nel rapporto con l’analista della modalità di rapporto primario, di natura simbiotica, con il genitore omologo. Ovvio che il transfert non possa riferirsi al rapporto primario: se si fa uso del rapporto con il genitore omologo, non c’è motivo di “trasferimenti” di sorta in altri rapporti. E anzi pro­prio sul rifiuto, da parte del figlio, di valersi del rapporto primario con il genitore, che lavora l’analista: riconducendo “per mano” il cliente al genitore, del quale rivela al figlio tutto l’amore, la dedizione. Per questo l’analista “deve” farsi pagare. Perché non sorga il sospetta che vo­glia proporsi come sostituto del rapporto primario, in cui non si scambia di certo denaro.

4. Il potere della psicanalisi. Sorvoliamo sul delirio di onnipotenza, con cui gli analisti compensano la propria profonda consapevolezza di contare, per i propri clienti, meno di niente. Tanto è vero che, quando non serviamo più, veniamo scaricati senza tanti complimenti e senza nessuna riconoscenza (perciò dobbiamo farci paga­re…). E sorvoliamo anche sui “lauti” guadagni dello psicanalista, visto che lo stesso Musatti guadagnava così “tanto” che ha dovuto continuare tutta la vita a fare il doppio lavoro, come professore universitario. E anche l’analisi storica del volto del potere, è quanto meno sbri­gativa, come se Giulio Cesare, i Bizantini, Teodorico, Carlo Magno, Napoleone o la regina Vittoria non aves­sero usato contemporaneamente denaro, esercito e poli­tica per i loro fini di potenza. Il “potere” qui non è certo quello di chi esercita l’estorsione (delitto del quale si so­no resi di gran lunga colpevoli da Giulio Cesare, a Carlo Magno, alla regina Vittoria, e in scala un po’ più gran­de). Ma è quello di “chi può”. Ma può che cosa? Ebbene: prendersi le proprie responsabilità. Si tratta perciò non di potere (=esercizio della facoltà decisionale in nome di altri senza assunzione delle relative responsabilità, come per esempio quando durante la guerra si decide la morte altrui e non solo non si è ritenuti responsabili, ma anzi ti danno la medaglia) bensì di autorità (= capacità di assumersi tutte le proprie responsabilità). Ancora una volta siamo di fronte all’equivoca denominazione di “autorità” attribuita ai “pubblici poteri” (che semmai so­no “autoritari”). Che ci sia un uso della psicologia, da parte del potere, non ci sono dubbi. Basti pensare al­l’uso della propaganda, tipico strumento psicologico. Ma lo psicanalista, per poter lavorare, deve per forza es­sere capace di autorità. Il potere è infatti prerogativa dei disperati, degli insicuri, di coloro che, per le ragioni più diverse, non hanno imparato a usare la propria autori­tà. Se riuscissero, sarebbero indubbiamente molto più felici. Quanto infine a sedurre le fanciulle, beh, credo sia inutile spiegare perché quelle che si rivolgono allo psica­nalista abbiano, nelle loro certezze, qualcosa di meglio di un antico psicanalista (il quale, di tanto in tanto, si guarderà pure nello specchio). Semmai, può essere il contrario. A volte capitano persone cosi sradicate che si attaccherebbero a chiunque, tanto si sentono svalorizzate. Persino allo psicanalista… Si tratta, allora, per quest’ultimo, di stare attento a non agire i bisogni dell’utente. Anche perché andrebbe incontro ad amare delusioni (vedasi ancora il punto 1).

5. Il potere sul paziente. La favola che lo psicanalista “legge” nell’inconscio del paziente quello che lo stesso paziente non riesce a leggervi è pura leggenda. Intanto l’inconscio non esiste: si è chiamata cosi solo la compo­nente emotiva, sentimentale, della personalità; “incon­scia” essa poteva essere considerata solo dagli accoliti di Francesco Giuseppe, che sciamavano in divisa, per l’Au­stria-Ungheria dei tempi di Freud, “nella vigna a far da pali”. Solo a un sottufficiale dell’esercito prussiano po­teva del resto apparire come una sentina di “desideri im­mondi’ la sede di ciò che è più nobile nell’uomo: la pietà, l’amore, la tenerezza, la gioia, la commozione. Tutte do­ti assai poco adatte a chi – per professione! – deve impa­rare a uccidere, torturare, saccheggiare, distruggere. Tutte “debolezze da donnicciole”. E infine, bella forza sarebbe “tenere in pugno” un povero diavolo che viene da te perché è pieno di problemi, perché ti chiede la sua consulenza per districarsi. Bel potere sarebbe davvero, da Maramaldo. No. l nostri clienti non sono tanto pazzi da scegliersi per analista un farabutto. Se uno è tanto scaltro da provarcisi, a imbrogliarli, come si è visto sono proprio loro che lo mandano in galera. Credo piuttosto che l’analogia con l’attore sia invece la sola calzante. Non fu il sociologo Alberoni a definire, nella sua tesi di laurea (dove, ammettono anche i suoi detrattori, ha det­to qualcosa di valido), la gente di teatro, gli attori una “élite senza potere”?

Foto di Sabine Meyer

IL “POTERE” DELLO PSICOANALISTA

intervista a Cesare Musatti a cura di Vittorio Volpi

Cesare Musatti, autore in Italia delle prime pubblicazioni organiche sulla psicoanalisi oltre che di numerose altre su temi connessi alla psicologia, è a tutt’oggi uno degli psicoanalisti italiani più importanti.

Domanda È stato il primo?

R. — Il primo è stato il triestino Weiss analizzato da un allievo di Freud a Vienna durante la prima guer­ra mondiale.

La mia analisi l’ho fatta con un altro triestino formatosi a Graz, in Austria e venuto a Padova, dopo la guerra come Professore di Psicologia all’Università, dove mi stavo laureando in Filosofia: il Professor Benussi.

Domanda — Analizzato?

— Si, da Gross, che però era completamente matto, figlio di un antropologo criminale famoso in Austria, era stato analizzato prima da Freud, e poi da Jung il quale in una lettera a Freud fece una diagnosi di “dementia praecox”. Gross andò in carcere per aver ucciso un uomo, e lì si suicidò. Pensi, il figlio dell’antropologo criminale che va in carcere per omicidio. E poi si suicida. Come psicanalista da cui derivo, non è che sia molto raccomandabile.

Domanda — Perché?

— Perchè fece l’analisi a Benussi…

Domanda Che tipo di analisi?

Allora per analisi, si potevano intendere an­che trattamenti per pochi mesi.

Domanda Con sedute più lunghe?

— Il dogma della seduta di cinquanta minuti è venuto dopo. La mia analisi con Benussi à durata circa due anni. Non pagata, perché ero il suo assistente: mi chiamava, e: “facciamo un po’ di analisi» diceva ‘ven­ga qui e mi racconti i sogni…”. Era un’analisi senza il setting, casalinga…

Domanda Ma con il prestigio, l’autorità del professore…

— Certo, ma fin troppo, Perchè non c’era sepa­razione del rapporto di analisi con il resto della nostra vita. Ero il suo figlioccio… Come se il padre facesse l’analisi al figlio.

Domanda il rapporto ideale

— Il transfert con il proprio padre non é possi­bile, perchè bisogna che sia un padre acquisito. La mia non è stata una buona analisi personale.

Domanda Lei non è un «buon psicanalista” allora…?

Mi sono fatto da me, come tutti i primi. Fe­renczi per esempio fece tre settimane di analisi con Freud. Le sedute duravano tutto il giorno a spasso per Vienna. La psicanalisi è nata cosi; le regole sono venu­te dopo, analogamente a quanto è avvenuto per il Cri­stianesimo.

Domanda Il Cristianesimo?

Gesù, se c’è stato, ha agito, limitatamente a quel piccolo mondo ebraico attorno a Gerusalemme. Ma è San Paolo che organizzandone i contenuti ha universalizzato il Cristianesimo. Le eresie sono infatti la naturale conseguenza di tutto il movimento teoretico, con cui si è creato un fonda­mento dottrinale. In un primo tempo, per esempio, i seguaci di Ario era­no più numerosi di quelli che poi sono divenuti Catto­lici.

Domanda Ma la Psicoanalisi?

Come per il Cristianesimo, anche per la psi­coanalisi si può parlare di una fondazione dottrinale., dell’organizzazione dei suoi contenuti per la sua dif­fusione, per la sua affermazione in termini di potere.

Domanda Di potere?

— Nel Medioevo il potere era delle armi: di­ventava capo chi battagliava meglio. Poi è venuto il periodo mercantile, in cui il denaro era lo strumento del potere. Quindi lo è divenuto la capacità di mano­vrare masse di uomini, cioè la politica. Ma oggi il pote­re psicologico è il massimo del potere.

Domanda Il massimo?

— Un individuo il quale dice: io capisco tutti gli uomini. E che razza di potere è: non è potere, questo?

Domanda Se capisce, è meraviglioso. Ma appunto: che razza di potere è?

— È il potere di chi afferma di riuscire attraver­so l’impostazione analitica, a vedere dentro un indivi­duo quello che l’individuo stesso non vede dentro di sè.

Domanda Ma è vero poi?

É vero si. Uno psicanalista arrivato ha una posizione economica buona…

Domanda Non eccezionale

— … però non eccezionale. Appunto. Non è certo quello che la gente crede. Ma in compenso ha nel rapporto analitico, una determinata soddisfazio­ne, ha il senso, proprio per come il paziente vive una condizione di transfert nei confronti dell’analista, di esercitare sul paziente, sugli individui che ricorrono a lui, un potere che non può essere esercitato in nessun’ altra maniera… È il controtransfert.

Domanda Cioè un sentimento di potere come lei dice: non una realtà.

— Ci sono migliaia di individui che si iscrivono nelle facoltà di Roma e di Padova, credendo di diven­tare psicologi e da dove invece escono dei disgraziati, che poi non sanno assolutamente cosa fare, perchè la professione di psicologo non esiste. Poiché l’unica forma di attività professionale consistente per un lau­reato in psicologia è la psicoterapia (che però non sa fare) in buona parte gli studenti desiderano diventare psicoanalisti. E la psicanalisi non è altro che una for­ma particolare di psicoterapia.

Domanda Bisogna anche lavorare

— Certo. Bisogna lavorare ma anche saper la­vorare, mentre chi esce dalla facoltà di Psicologia ha la presunzione di voler esercitare un potere, come pensa lo eserciti io. È questo a spingerli verso la facoltà di psicologia. Un tempo buona parte di queste persone avrebbero voluto diventare come Agnelli. Oggi vo­gliono diventare come me: mi mettono sullo stesso piano di Agnelli…

Domanda Come professore universitario di ruolo, avrà avuto un potere reale. Ma come psicanalista lei è un ar­tista, non un uomo di potere .

— Quando parlo di potere non vorrei essere frainteso. Ma sono un uomo di potere, non perché io abbia delle masse di uomini che mi seguono, ma per­ché un certo dominio lo psicanalista lo esercita. Ci so­no delle ragazze di vent’anni che mi vorrebbero ab­bracciare. Alla mia età… Se io riesco a fare in modo che una ragazza di vent’anni desideri abbracciarmi, lei non lo chiama potere questo?

Domanda Qui con lei si sta molto bene. Non le dico certo una cosa nuova. Se considera il piacere che io provo a stare adesso con lei, siamo di fronte a una forma di pote­re abbastanza singolare.

— E va bene: io riesco a far sì che la gente stia bene con me. E le par poco?

Domanda Tutt’altro: è il massimo. Non del potere…

— Ma è potere, Lei non vuol capire… Le dà fa­stidio la parola potere? Ma perchè lei ha in mente il potere, sempre, diciamo così, come prevaricazione. Però questa posizione di superiorità esiste: l’analista ha nei confronti del paziente il senso di averlo in pu­gno.

Domanda Di averlo in pugno?

Ce l’ha in pugno, non per utilizzarlo, ma ce l’ha; ce l’ha in braccio. Dico sempre: quando acco­gliamo un paziente, è come se ci dessero in mano un bambino, come se avessimo un bambino da tirar su… Il mio potere consiste nella capacità di rivivere deter­minati elementi della sua vita. Come se ci fossi den­tro. Io ci sono dentro; ci sono come un attore che si ca­la nel personaggio. Il mio è il potere dell’attore.

A CHE COSA SERVONO I LAUREATI IN PSICOLOGIA?

Intervista a cura di Eva Lucchesi Tagliabue e Maurizio Molteni

Il dibattito sull’opportunità o meno dell’Albo degli Psicologi risente molto dell’utilizzo, spesso con signifi­cati differenti, del termine “psicologo”. Abbiamo chiesto al Professor Cesare Musatti di aiutarci a fare un po’ di chiarezza. Come è noto gli interventi del Professor Mu­satti sul tema, sono molteplici e rispecchiati nelle nume­rose pubblicazioni di cui riportiamo a parte l’elenco cro­nologico.

Domanda — C’è confusione…

Si, c’è molta confusione nei termini perchè con gli anni sono proliferate le occasioni di impiego di strumenti di carattere psicologico, e ogni volta non ci si è troppo curati di concordare con gli altri una termi­nologia valida per tutti e che avrebbe semplificato le cose.

Domanda — Esiste lo Psicologo?

Certo che esiste, come attività accademica, come retaggio della filosofia dapprima e della Psicolo­gia sperimentale a fondo fisiologico poi. Il Professor Mosso di Torino fu il primo in Italia.

Domanda — Come professione?

Come libera professione non ha molto sen­so. Anche quando si parla di psicologo del lavoro, psi­cologo dello sport, psicodiagnosta, siamo di fronte sempre a persone che intervengono in una realtà per esaminarla, ai fini di modificarla. Siamo di fronte cioè a degli “psicoterapeuti”.

Domanda — Ma lei è stato psicologo del lavoro…

Io ho fatto lo psicologo di fabbrica ma nel 1948, in piena ricostruzione, nei periodi di grande be­nessere qualche cosa da fare si trova, perchè l’indu­stria si può permettere di avere anche lo psicologo. Pe­rò adesso in fabbrica non serve più a nulla. Ci sarebbe anche da fare, ma siccome gli interessi economici pre­valgono sull’interesse per il benessere degli operai, gli stessi operai preferiscono più soldi in busta paga, e magari l’assistenza psicologica se la cercano fuori.

Domanda — Lei cosa faceva?

Ho fatto alcuni lavori sul cottimo. I tecnici non vedevano i problemi dell’operaio nel rapporto con il lavoro.

Domanda — Cioè?

Senza una mentalità psicologica non si rie­sce a comprendere come il lavoro per ogni essere umano viene organizzato in un tutto unico. L’operaio, essendo un essere umano, tende a infondere una cer­ta armonia in quello che fa.

Domanda — E la parcellizzazione?

La parcellizzazione, il principio base del Taylorismo, è proprio l’antitesi di questo. Non si può frazionare un’attività in tanti piccoli segmenti. Non è vero che una operazione sia la somma di questi piccoli atti, di una serie di contrazioni muscolari. Sarebbe co­me se si considerasse la musica come la somma delle note. Mentre invece è il frutto di una sintesi dove le varie note, e nel lavoro i vari atti, seguono una legge che produce il risultato finale armonico, ben diverso dalla semplice somma delle parti.

Domanda — È il principio delle “isole”?

Certo, quelle realizzate alla Volvo svedese, e arrivate da noi 30 anni dopo. Allora come psicologo all’Olivetti di Ivrea, avevo fatto uno studio in questa direzione. Ma il mio lavoro gli è tornato utile, lo han­no ripescato, soltanto quando gli operai, che sulla ca­tena di montaggio impazzivano, perdevano la virilità, si rifiutarono e fecero crollare il vecchio sistema.

Domanda — Che rendeva di più…

In termini immediati, forse. Ma come costo globale, come spesa sociale per i disturbi che provoca­va e i danni alla produzione stessa (per apparecchi di­fettosi) i conti non tornavano, tanto è vero che è entra­to in crisi irreversibile.

Domanda —Ma allora lo psicologo serve…

Allora sì. Se fossimo stati trenta almeno o cinquanta sarebbe stato utile perché l’industria italia­na se ne sarebbe potuta giovare. Ma ero solo in un am­biente non ancora preparato.

Domanda — E oggi?

Oggi quegli psicologi del lavoro non servono più. Ci sono gli esperti di tempi e metodi, che fanno quello che si chiede loro molto meglio di uno psicolo­go.

Domanda — Ma l’aspetto umano?

Anche un bravo direttore del personale se ha un rapporto circoscritto a un numero limitato di di­pendenti li può conoscere tutti, e se è intelligente rie­sce a fare un’attività di assistenza psicologica meglio di qualsiasi altro. Infatti dipende da lui l’organizzazio­ne del personale, e può intervenire con poteri che lo psicologo non avrebbe mai.

Domanda — Senza laurea in Psicologia?

Nessuna laurea può far nascere una vocazio­ne psicologica. La laurea in Psicologia poi assomiglia a quella che una volta era la laurea in Cultura. Il Profes­sor Ossicini si dà molto da fare per migliorare queste situazioni, per qualificare meglio i laureati che escono completamente sprovveduti da una Facoltà inutile, capace solo di alimentare illusioni. Ma egli fa quello che può. È sempre stato all’opposizione, vuol dire cioè che non ha mai governato. Le sue iniziative politiche, come quella dell’Albo, sono perciò necessaria­mente il frutto di compromessi con chi detiene il po­tere. Non credo che potrebbe fare di più.

Domanda — La Legge è alla Camera…

Infatti. La Legge non è più al Senato, e il Pro­fessor Ossicini non c’entra più. E stato suo merito sol­levare il problema. È merito suo se voi oggi siete qui e volete capire di più.

Domanda —E sempre stato così?

La Società di Psicologia cui mi iscrissi dopo la laurea era composta da una ventina di persone. Era­no Professori universitari: 3 ordinari, 2 o 3 incaricati, qualche libero docente e gli assistenti. Ci conosceva­mo tutti. Ogni tanto facevamo dei congressini. Tengo le fotografie. Ce n’è una fatta davanti all’Istituto di Psicologia di Roma. Con noi c’è anche uno dei tecnici di laboratorio, quei tecnici tutto fare che preparavano le apparecchiature psicometriche in uso allora; questo per dire il clima di familiarità che c’era.

Domanda — E adesso?

Mi suscita commozione l’interesse per la psicologia nei giovani di oggi, perchè agli inizi noi era­vamo degli isolati. Nell’ambiente filosofico ci diceva­no “ma voi siete dei fisiologi”. In quello medico inve­ce ci consideravano dei filosofi. Adesso è tutto cam­biato, ma non vedo gli ideali di ricerca di un tempo. Mi sembra che il successo della Facoltà sia dovuto alla ri­cerca di molti di un modo ritenuto facile, tra l’altro, per esercitare del potere sulla vita altrui.

Domanda — Sarà forse per i nevrotici…

Un genere particolare persegue il potere sui propri simili, quello con caratteri paranoidi.

Domanda — Ma la gente se ne accorge!

Questo lo crede lei. C’è molta gente che di fronte a chi dichiara semplicemente di essere studen­te di psicologia si apre a confidargli tutto di sé.

Domanda — A noi capita piuttosto di incontrare una sana diffidenza…

Sarà vero, ma a me capita ancora che persino l’autista sul taxi, appena sa che insegnavo psicologia, mi racconti i fatti suoi e alla fine non voglia essere pa­gato, mettendomi in una posizione imbarazzante.

Domanda — Se fossimo taxisti neanche noi la faremmo pa­gare, perchè è un piacere stare con lei. E poi è difficile non riconoscerla…

Può darsi che sia così. Ma rimane il fatto co­munque che chi esce dalla Facoltà ha solo la possibili­tà di insegnare. Quindi non esiste una professione di Psicologo e in questo senso l’Università potrebbe fare qualcosa per informare gli studenti sulla reale consi­stenza delle prospettive di lavoro.

Domanda — C’è la psicanalisi…

Ma lo psicanalista non si può improvvisare certo con un corso di sei mesi. Egli può lavorare bene solo se è una persona matura. Gli ci vuole l’esperien­za, quella della vita prima di tutto, e quella professio­nale. Entrambe si acquisiscono solo con gli anni, oltre che con un impegno tale, da essere accettato solo da chi è veramente appassionato a questo lavoro.

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